Il sito archeologico di Corte Lucetta, attualmente tagliato dalla Strada Provinciale 53 che collega Esterzili con Escalaplano, è un ampio insediamento solo parzialmente esplorato.
In questa zona, nel marzo del 1866 il contadino esterzilese Luigi Puddu, soprannominato «Pibìnca», mentre arava un campicello urtò con l’aratro uno strano oggetto, una lastra di bronzo rettangolare, in ottime condizioni, lunga 60 centimetri, alta 45 cm., spessa 5 mm. e del peso di circa 20 chilogrammi. L'ignaro scopritore donò la tavola al parroco di Esterzili, canonico Giovanni Cardia, in cambio di due scudi d'argento, corrispondenti alla discreta somma di dieci lire, un piccolo capitale in quell'epoca. Il canonico Cardia, che era in grado di valutare il pregio della scoperta, si mise in contatto con l'illustre archeologo canonico e senatore Giovanni Spano, che la studiò con interesse, la pubblicò e, infine, la cedette al Museo Nazionale di Sassari, dove si trova attualmente esposta.
L’iscrizione, redatta ai tempi dell’imperatore Otone, è la sentenza pronunciata il 18 marzo del 69 d. C. dal proconsole Lucio Elvio Agrippa nella causa che vede contrapposti i Patulcenses, agricoltori giunti dalla Campania e insediati nell’isola già dal II sec. a. C., alla popolazione locale dei Gallilenes, rei di non rispettare i confini e di creare disordine con risse e occupazioni di territorio.
La tavola è un documento amministrativo di straordinario interesse e una rara testimonianza della situazione delle comunità locali in età imperiale, caratterizzata da razzie, guerriglie e sconfinamenti che l’autorità romana cerca invano di sedare.
L’epigrafe doveva essere esposta in un edificio pubblico o, comunque, significativo per le popolazioni coinvolte, soprattutto i Patulcenses che avevano tutto l’interesse a esibire una sentenza a loro favorevole.
La ricerca di questo edificio e l’importanza di verificare la presenza di insediamenti ascrivibili alla fase cronologica dell’importante documento, spinse la Soprintendenza a effettuare, tra il 1992 e il 1994, uno scavo che portò alla luce ambienti rettangolari, alcuni dei quali disposti su uno spazio lastricato all’aperto. I muri si conservano per pochi filari, sufficienti solo a individuare la disposizione planimetrica degli ambienti.
Furono recuperati materiali ascrivibili coerenti con il periodo della tavola, consistenti soprattutto in frammenti di doli e anfore per la conservazione dei cibi, ceramiche di uso quotidiano e frammenti di macine per la lavorazione dei cereali. Numerosi sono anche i frammenti di coppi che dovevano costituire la copertura.
Il sito è di grandissimo interesse in relazione alle modalità in cui dovette avvenire la romanizzazione delle zone interne della Sardegna e all’individuazione dei confini che avevano segnato la presenza dei coloni voluti da Roma.